I comportamenti degli uomini sono regolati esclusivamente da istinti di autoconservazione. Anche nel gesto più altruistico si nasconde il mero appagamento del proprio ego, nessuna eccezione, dura lex sed lex. Non è facile accettare la nostra miseria. Abbiamo bisogno di declinare in un altrove nobile e nobilitante le nostre prospettive, abbiamo bisogno di credere di essere migliori di quello che siamo, dividiamo il mondo in giusti e corrotti, buoni e cattivi, tracciamo solchi che separano i nostri valori universali da quelli altrui. E noi ci mettiamo sempre dalla parte della ragione.
Il Grande Altro è l’ideologia, è quello che crediamo di fare e non ciò che facciamo, esiste a livello sociale come in quello privato, è una necessità insita nell’animo umano quella di sentirsi superiore ad una scimmia. In realtà siamo solo bestie che mentono a sé stesse e ai propri simili.
Il Grande Altro è il concept del nuovo album dei Preti Pedofili, quello che stancamente ed episodicamente stiamo pubblicando in questi mesi. Abbiamo svelato il titolo. Con questa decima traccia vi regaliamo anche il tema, lo stato d’animo, la disperazione e la consapevolezza che guida i nostri suoni, e i nostri versi, qui assenti. Buon ascolto, a presto. Manca un solo brano, e poi torneremo a dare voce ai nostri incubi. Dal vivo.
mercoledì 4 gennaio 2017
domenica 5 giugno 2016
Brano numero nove: Produci, consuma, crepa
Noi siamo i Preti Pedofili e siamo una band di Foggia. Non lo abbiamo
mai detto, in molti lo sapete perché molti dei nostri live si sono
tenuti nella nostra città, ma non lo abbiamo mai esplicitamente detto.
Ci siamo nascosti dietro finte informazioni, prima Bari, poi qualche
luogo mistico tipo Lourdes e Medjugorie, infine abbiamo optato per la
Città del Vaticano. Più istituzionale. E invece siamo di Foggia.
Tuttavia non è sempre stato così. Certo, siamo tutti e tre nati in
quella città,due di noi ci vivono attualmente, ma per una ragione o per
l'altra non abbiamo mai sentito l'esigenza di riconoscerci in un
processo identitario che ad eccezione di Zemanlandia e dei torcinelli
non ha mai espresso nulla di interessante. Un paio di anni fa alcuni
ragazzi e ragazze invece si sono svegliati. Hanno alzato la testa, hanno
sputato in faccia al nostro nichilismo facilone e hanno letteralmente
ribaltato il tavolo delle consuetudini. Nasceva il CSOA Scurìa, una
realtà in grado di abbagliare chiunque l'abbia visitata, una forma di
alternativa vera alle dinamiche imposte dal capitalismo, funzionante,
dinamica, vincente. C'era vita alle periferie dell'Impero. Ed era a
Foggia, inspiegabilmente a Foggia. A quel punto i Preti Pedofili, con il
loro atteggiamento sornione da finti intellettualoidi che ne hanno
vista fin troppe per abbandonarsi a facili entusiasmi, hanno dovuto
togliersi il talare ed indossare finalmente la maglia rossonera. Noi
siamo una band di Foggia. Lo siamo dal 12 maggio del 2014, dal giorno in
cui, in giro per l'Italia, abbiamo potuto dire con orgoglio e
commozione che nella nostra città c'era il più figo centro sociale del
mondo. Ci esprimiamo al passato, come qualcuno avrà notato. Non è ancora
finita, ma già sappiamo che dal prossimo 31 maggio lo Scurìa non
esisterà più. Non ci interessa esprimere opinioni sulle scelte
istituzionali. Le istituzioni odiano i posti occupati, nessuno ti regala
niente, è risaputo. Ciò che realmente ci interessa e di cui siamo
convinti è che quelle persone, in grado di segnare un solco così
profondo nelle coscienze della città, non disperderanno il meraviglioso
bagaglio di esperienze maturate in questi due anni. E troveranno nuove
forze e nuovi sostenitori per migliorare ancora le loro vite e le nostre
vite. Questa storia è tutt'altro che finita, lo Scurìa è solo il primo
esaltante capitolo di un romanzo che ci appassionerà ancora. Ne siamo
certi. Però, anche nelle corse più sfrenate, arriva il momento di
fermarsi, riprendere il fiato e guardarsi per un attimo indietro. Ed
essere felici della strada fatta, consapevoli di aver scritto una pagina
fondamentale nella storia della città, e piangere, piangere anche di
quello che si è fatto senza essere nessuno, solo con la consapevolezza
del proprio corpo e del proprio essere sociale. “Produci, consuma,
crepa” è il nostro brano del mese di maggio, e lo dedichiamo alla città
di Foggia senza lo Scurìa, ripiombata come in un incubo dal quale
sembrava essersi svegliata. Ma come dicevano e continuano ad affermare i
nostri eroi proletari: “Questo nulla non ci annullerà”. Lo Scurìa dal
31 maggio 2016 non esisterà più. Lo Scurìa dal 31 maggio 2016 esisterà
per sempre, come luogo della nostra anima e delle nostre menti. Lo
Scurìa ci ha mostrato la strada. Non ci resta che seguirla. Grazie
compagne e compagni, grazie di tutto, infinitamente.
lunedì 30 maggio 2016
Brano numero otto: La mia chiesa
"La mia chiesa" è il nostro piccolo contributo al dibattito su Isis,
terrorismo, attentati di Parigi, Islam, razzismo. L'analisi è abbastanza
semplice: se un uomo decide di farsi saltare in aria, vuol dire che non
ha più ragioni per continuare a vivere. Il fanatismo religioso oggi non
è altro che un orizzonte verso cui il sottoproletariato arabo si sta
dirigendo, nel secolo della crisi di qualsiasi progetto riformista e del
declino definitivo delle idee post-marxiste. Sappiamo di essere un
gruppo pesante, sappiamo che l'indie italiano sguazza nel non-sense
fighetto, ci dispiace, non ci adeguiamo. Questo è l'ottavo brano del
nostro progetto, che annaspa ma non si arresta. Come le idee. Non si
arrestano.
martedì 22 marzo 2016
Brano numero sette: Breve premessa attorno ad un aborto spontaneo occorso al sesto mese di gravidanza in circostanze non ancora del tutto chiarite
«Durante la lavorazione a “Breve premessa attorno ad un aborto spontaneo
occorso al sesto mese di gravidanza in circostanze non ancora del tutto
chiarite” (si questo è il titolo completo del brano), mi appariva sul
pc, senza alcuna spiegazione, l'immagine della madonna piangente di
Caiazzo. Fin da quando ero bambino ho sempre temuto la Madonna. Quando
mia madre mi costringeva a vedere i vari film su Fatima e Lourdes,
passavo delle notti insonni, pregando affinché non mi capitasse mai
qualcosa di simile. Avevo una paura tremenda che di punto in bianco la
Madonna decidesse di apparirmi, senza preavviso. In quel caso sarei
sicuramente morto di infarto. Alla veneranda età di trentadue anni, dopo
aver maturato un solido ateismo con evidenti dosi di blasfemia
gratuita, mi sono reso conto che quelle fobie non sono ancora state del
tutto rimosse. Tutt'altro. È bastata un'immagine apparsa sul lettore VLC
(probabilmente dovuta alla nuova versione del programma che si connette
alla rete per riprodurre immagini attinenti al testo del brano) per far
crollare tutte le mie certezze. Avevo deciso di lasciare i Preti
Pedofili, e comunque di non pubblicare mai questa canzone. Ecco perché
siamo arrivati all'8 marzo, un ritardo che non ha niente a che vedere
con la festività delle donne di mezza età che si incontrano nei locali
più trash di Poggiofranco per sbavare intorno agli spogliarellisti al
ritmo della lambada. Detto ciò, sono evidentemente scosso e, da ora in
avanti, niente sarà più come prima, per me e per i Preti Pedofili. Il
capitolo VII di questo album a puntate potrebbe anche essere l'ultimo
per quanto mi riguarda. Buon ascolto.»
martedì 9 febbraio 2016
Brano numero 6: La vita di Romain Gary
La vita di Romain Gary è stata un romanzo. Non in senso figurato, ma nel vero senso della parola. L'autore ha ideato la trama e l'ha vissuta in prima persona, proprio come era stata inizialmente concepita ed infine l'ha anche scritta. Romain Gary è uno scrittore di origini lituane naturalizzato francese. Dopo aver raggiunto il successo letterario già negli anni '50, decise di ricominciare da zero la sua carriera con lo pseudonimo di Emile Ajar, vincendo il prestigioso premio Goncourt con il romanzo La vita davanti a sè. A ritirare il premio si presentò un nipote di Gary, tal Paul Pavlovitch, ovviamente in accordo con il vero autore. Fu così che si innescò un singolare corto circuito, poichè il Pavlovitch cominciò a girare per le televisioni e le radio, rilasciando interviste e godendosi l'immeritata fama, mentre Romain Gary continuava la produzione letteraria sia con il suo vero nome, sia sotto lo pseudonimo di Emile Ajar. Da qui il paradosso: la critica arrivò a sancire il declino artistico di Gary, esaltando invece le doti del nipote come nuovo astro della narrativa transalpina. Come ogni buon romanzo che si rispetti, anche la vita di Romain Gary ha il suo finale a sorpresa. Il 2 dicembre del 1980, alla veneranda età di settantasei anni, Gary acquistò una pistola ed una vestaglia color porpora. Prese quindi una stanza in un lussuosissimo hotel nel centro di Parigi e si sparò in bocca, lasciando sul tavolo accanto al suo cadavere un libro intitolato Vita e morte di Emile Ajar, in cui rivelava finalmente di essere lui l'autore de La vita davanti a sè. Romain Gary ha reso la propria vita un'opera d'arte ed è, per questo motivo, un autentico genio. A lui dedichiamo il nostro sesto brano.
sabato 16 gennaio 2016
Brano numero 5: Fargo
C'è Billy Bob Thorton, con quella faccia da cazzuto duro che spara sentenze ogni volta che apre la bocca e tu non puoi fare a meno di ripeterti: "Sì, cazzo, ha ragione!". E se tu avessi ragione e loro torto? Sì, io ho ragione cazzo, loro sono tutti dei fottuti bastardi. Lo sai perchè l'uomo riesce a vedere più sfumature di verde che di qualsiasi altro colore? No, perché, dimmelo porca puttana, dimmelo! Perché l'uomo era un predatore, e scovava le sue prede che si mimetizzavano nella foresta. Sì cazzo, io pure sono un predatore, devo farmi rispettare, ammazzare tutti porca eva, vaffanculo! Hai fatto il cattivo Lester? Lester? TU TU TU TU. Lester si è gasato troppo con queste parole ed ha fatto un macello, praticamente ha fracassato un martello in testa a sua moglie scassacazzi mandandola all'altro mondo. Non seguite il suo esempio. Questa è Fargo, quinto brano dei Preti Pedofili. Torniamo ogni mese, implacabili. Nemmeno Natale ci ha fermati.
domenica 6 dicembre 2015
Brano numero 4: Il colore del lavoro
Il 22 settembre 2015 un bracciante proveniente dal Burkina Faso è stato ucciso a fucilate nelle campagne del Tavoliere per aver rubato un melone. L'opinione pubblica locale si è schierata in maniera compatta e veemente a difesa dei proprietari terrieri, padre e figlio, artefici dell'omicidio. Il 6 gennaio 2010 a Rosarno, in Calabria, due balordi in odore di 'Ndrangheta si divertivano a giocare al tiro al migrante, sparando con i fucili ad aria compressa. Dopo averne ferito uno, hanno scatenato la rivolta di una comunità vessata da continui soprusi, degenerata poi in una vera e propria guerriglia urbana perché, anche in questo caso, la popolazione autoctona ha deciso di prendere le parti degli assalitori. Per due giorni si è assistito ad una sorta di pulizia etnica, una caccia all'uomo, una notte dei cristalli in versione riveduta e corretta. Mille lavoratori, braccianti, africani, venivano caricati sui pullman e deportati altrove. Le arance di Rosarno resteranno per sempre insanguinate dopo quel triste avvenimento. La Calabria, come il Tavoliere, è solo uno dei teatri in cui si consuma, da anni, una delle più grandi tragedie contemporanee. Masse di uomini e donne costretti a lavorare per un paio di euro all'ora, rinchiusi in casolari abbandonati senza acqua e luce, umiliati quotidianamente dall'arroganza dei caporali. Tutto questo avviene a pochi chilometri dalle nostre città, dalle nostre scuole, le nostre università, i nostri cinema, stadi, parchi divertimento, centri culturali. Siamo una società costruita su fondamenta marce, lo sappiamo, giriamo la testa ogni giorno. Rosse di sangue sono le arance che mangiamo. Nero è il colore. Il colore del lavoro.
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